ROADIES SERIES
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Backstage - capitolo 2 extra

27/6/2020

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https://www.roadiesseries.com/nlev/backstage-capitolo-1-extra​
Come avvenimenti si posiziona prima del libro, quindi puoi leggere tranquillamente senza spoiler. Puoi scaricarlo da qui e leggerlo sul Kindle o altro tablet:
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Capitolo 2 extra

​4 anni prima
 
Entro in sala prove sconsolata e mi accascio sulla sedia di plastica che barcolla pericolosamente sotto il mio peso.
«Niente, neanche Harry del Vinyl ne ha da rivendere. A questo punto il concerto ce lo scordiamo.»
Sono settimane che cerchiamo i biglietti per lo spettacolo dei Jailbirds al Madison Square Garden, quando sono usciti sono andati subito sold out e noi non avevamo i soldi per provare a comprarli. Ci abbiamo impiegato mesi a racimolare abbastanza dollari per poter pensare di permetterci un posto in platea. Harry, di solito, è la nostra ultima spiaggia. Gestisce un piccolo negozio di musica in Harlem dove vende i vinili ma i soldi veri li fa rivendendo biglietti di concerti a un prezzo maggiorato qualche giorno prima dello spettacolo. Non abbiamo mai capito dove li trova, forse ne compra in blocco quando escono e poi aspetta a rivenderli quando i disperati come noi sono disposti a tutto pur di accaparrarsene uno. 
Il concerto è stasera e, se neanche Harry ne ha, significa che le nostre speranze sono pressoché nulle. La faccia scura di Luke e Taylor mi sta a indicare che nemmeno loro sono stati fortunati con i loro giri per negozi.
«Ormai l’unica nostra speranza è Martin.» Alza le spalle Luke.
«Mi ha mandato un messaggio prima dicendo che forse ha un contatto, ma di non trattenere il fiato. È qualcosa che va oltre anche i suoi giri loschi.»
Il nostro chitarrista ha il potere di farci avere cose che noi non potremmo permetterci. Dalle birre a novantanove centesimi, nonostante non abbiamo l’età legale per bere, a strumenti musicali molto buoni a prezzi davvero scontati. Abbiamo il sospetto che non sia legale il modo in cui riesce a entrarne in possesso, ma non gli abbiamo mai chiesto nulla sulla provenienza e lui non ne ha mai fatto parola.
«Si parla del diavolo…» Taylor risponde al telefono. «Ok, arriviamo.» Chiude la chiamata e si alza.
«Vuoi dire anche a noi dove siamo diretti?» Domando perplessa mentre afferra la giacca ed esce dalla stanza.
«In uno Starbucks vicino al Madison Square Garden. Ci aspetta lì con suo fratello.»
Corriamo alla metro e ci infiliamo nel vagone per miracolo prima che chiudano le porte. Siamo stipati assieme alle persone che attraversano l’Hudson per andare a Manhattan principalmente per lavoro. Sono pochi i turisti che si addentrano per Brooklyn e hanno la necessità di tornare indietro e, quando lo fanno, di solito usano i ponti per poter ammirare la città dal un punto di vista tipico delle foto ricordo.
Arriviamo all’appuntamento ed entriamo nello Starbucks pieno di turisti e di fan che sono in attesa di entrare all’arena. Scorgiamo Martin e Liam a un tavolo d’angolo e li raggiungiamo. L’espressione infastidita del chitarrista mi fa capire che è arrabbiato con il fratello. Non è un buon segno.
«Ho un amico che lavora dentro al Madison Square Garden stasera che può procurarmi quattro biglietti. Mi servono duecento dollari a testa.»
«Certo che potresti anche salutare prima di chiederci soldi.» Si lamenta Luke che non l’ha mai particolarmente amato. È un ragazzo prepotente e lo sopportiamo solo perché è il fratello di Martin.
Liam alza gli occhi al cielo.
«Li vuoi i biglietti o no?»
«Che posti?» Luke non si lascia intimidire.
«Platea.»
«Duecento dollari per una platea? Vendevano a centocinquanta il Pit!»
«È un peccato che i biglietti siano andati sold out in cinque minuti e voi non li abbiate comprati.»
Liam è uno stronzo di prima categoria e, da come Martin stringe i pugni, capisco che vorrebbe spaccargli la faccia.
«Smettila di fare il coglione, Liam.» Sbotta il fratello.
«Potete darmi i soldi e avere i biglietti oppure tornarvene a casa. Non serve un genio per capirlo.»
«Possiamo fidarci di questa persona? Dove lavora?» Cerco di mediare.
«Vende panini in uno degli stand. Mi ha detto che a loro danno biglietti in più ad ogni concerto e se li rivendono, tutto qua.» Alza le spalle.
«Vende panini.» Si accerta di aver capito bene Taylor.
Ci guardiamo tutti un po’ perplessi. Pensavo che fosse uno dei ragazzi che monta il palco, o qualcuno in biglietteria. Gli stand del cibo sono gestiti in subappalto da aziende esterne che non hanno niente a che vedere con la musica, alcuni non sono nemmeno fisicamente dentro l’arena ma si trovano nell’area attorno. Alla fine, però, accettiamo.
«Tanto se non ci arrivano i biglietti sappiamo dove venirti a cercare.» Tiro fuori la mia parte di soldi e glieli lancio sopra il tavolo. I miei compagni fanno lo stesso.
Liam se li intasca e poi si alza senza farsi troppo riguardo di nascondere agli occhi di tutti quelli che ci stanno attorno ottocento dollari in contanti. Se si fa derubare, giuro che lo strozzo con le mie stesse mani; Liam, come tutti noi, non è ricco, se gli portano via quei soldi non ne ha per restituirceli.
«Aspettatemi qui, ve li porto appena riesco a farmeli dare.» Poi scompare fuori dalla nostra vista per le strade di Manhattan.
«Secondo voi rivedremo quei soldi?» Domanda Luke Preoccupato.
«Mai.» È la risposta di Martin e un po’ mi preoccupa.
Taylor mette sul tavolo due dollari e cinquanta che ha appena tirato fuori dalla tasca. Lo guardiamo tutti un po’ straniti.
«Questo è quello che mi resta, se avete da aggiungere qualcosa vado a prendere un cappuccino e ce lo spartiamo in quattro. Sono le due del pomeriggio, dobbiamo arrivare fino a stasera… dobbiamo ingurgitare qualcosa.»
Svuotiamo le tasche e in quattro raggiungiamo appena cinque dollari e settanta cinque centesimi. Almeno il cappuccino riusciamo a prenderlo grande.
*
Il locale si è svuotato, i fan si sono ammassati all’arena perché tra un po’ apriranno le porte e lasceranno entrare il pubblico; noi, invece, siamo ancora qui ad aspettare Liam con i nostri biglietti.
Luke scarabocchia su un foglio, sta lavorando a una nuova canzone, Taylor controlla i suoi social, Martin digita furioso sul telefono cercando di capire dove è finito il fratello e io guardo fuori dalla vetrata nella speranza di vederlo arrivare. Abbiamo smesso di parlare e di sperare almeno un’ora fa.
«Quattro cappuccini e quattro biscotti.»
La barista li appoggia sopra al nostro tavolo e ci sorride.
«Non li abbiamo ordinati.» L’avvisa Luke spaesato come tutti noi.
«Lo so.»
«Non possiamo pagarteli.» Aggiungo per chiarire la nostra situazione di persone che non hanno nemmeno spiccioli per una bottiglia d’acqua.
«Lo so. Sono quattro ore che vi passate un bicchiere di cappuccino in quattro. Abbiamo fatto una colletta e abbiamo deciso di regalarveli.» Con la testa ci fa segno verso altri due baristi dietro al bancone che ci salutano imbarazzati con la mano. Nei loro occhi si vede tutta la pena che provano per noi. Sembriamo davvero così disperati?
«Grazie.» Balbettiamo imbarazzati. Sembriamo degli scappati di casa che non riescono neppure a pagarsi da mangiare.
«Che figura di merda.» Sussurra Taylor infilando la testa nel cappuccio della felpa per nascondersi.
Passano un paio di minuti, alla fine, però, lasciamo da parte il nostro imbarazzo e ci prendiamo un cappuccino e un biscotto a testa perché la realtà è che abbiamo fame. Tutti i nostri risparmi di mesi li abbiamo spesi per quei biglietti e di Liam non c’è neanche l’ombra.
«Secondo voi cosa facciamo?» Domando titubante, nessuno ha avuto il coraggio di tirare fuori l’argomento ad alta voce.
«Andiamo a casa di Martin e picchiamo Liam finché non ci dà i soldi?» Propone Luke sempre più arrabbiato. Sua madre ha perso il lavoro qualche settimana fa, sono sicura che si senta in colpa per essere stato egoista per voler andare al concerto e per essere stato abbastanza stupido da farsi fregare.
Sono ormai le otto, il concerto sta per cominciare, quando vediamo Liam comparire da dietro l’angolo. In un primo momento sembra un miraggio, poi iniziamo ad agitarci. Siamo in fermento quando entra e ci lancia una busta sul tavolo.
«Li hai trovati sul serio?» Domanda Martin aprendo l’involucro bianco e sbirciando dentro.
«Certo che li ho trovati, secondo voi? Scappavo coi soldi?» Alza gli occhi al cielo.
Quanto lo odio quando fa quel gesto. Ha quell’aria di sufficienza che gli toglierei volentieri a schiaffi.
«Sentite, non ho tempo da perdere. Divertitevi… anche se non capirò mai i vostri gusti di merda in fatto di musica.»
Gli facciamo il dito medio in quattro, non merita nemmeno una risposta di fronte a un’affermazione del genere. Ci considera dei ragazzini sfigati che hanno messo in piedi una band mediocre e che non ha una voce attendibile quando si tratta di musica.
Ci alziamo di corsa, ringraziamo la barista con un cenno della mano e corriamo a perdifiato fino al Madison Square Garden.
«Che entrata?» Domanda Luke.
«B» Martin punta il dito verso il retro dello stabile.
Quando arriviamo stanno già disponendo le transenne per l’uscita, significa che lo spettacolo sta per cominciare e l’arena è già piena.
«Da questa parte.» Ci indica uno della sicurezza con la giacca gialla che ci fa passare sotto un metal detector come quelli dell’aeroporto.
Una volta accertato che non abbiamo armi addosso il ragazzo usa il lettore per scannerizzare i biglietti che Martin gli porge. Una luce rossa lampeggia sullo schermo e tratteniamo il fiato. Il ragazzo corruga la fronte e prova a passare una seconda volta il biglietto. Sempre la spia rossa che si accende.
Cominciamo a guardarci preoccupati quando il ragazzo prova con il secondo biglietto e ha lo stesso risultato, il terzo e il quarto pure. Osserva il codice a barre con il numero del biglietto e alza poi lo sguardo su di noi.
«Mi dispiace, ragazzi, sono falsi.»
Rimaniamo qualche secondo imbambolati a fissarlo. Una scossa di quelle che ti gela il sangue mi scorre nelle vene. È come se la temperatura attorno a noi si fosse abbassata di venti gradi in un istante.
«Non è possibile, hanno la filigrana nella carta, non possono essere falsi.»
«Mi dispiace, vedete il numero del biglietto?» Ci indica il punto esatto a turno su tutti e quattro i fogli. «È lo stesso numero. Hanno stampato lo stesso biglietto.»
«Non è possibile, come diavolo hanno fatto a falsificarlo? Non può esserci stato un errore nella stampa?» Domanda Luke furioso.
Il ragazzo alza le spalle e ci riserva un sorriso di compassione.
«Purtroppo no, quel numero non esiste nel database. Non hanno mai venduto un biglietto con quel numero.»
«Come hanno fatto a falsificare la carta? Ha la filigrana!» Luke continua a insistere mentre il mio cuore sprofonda nello stomaco.
Il ragazzo alza le spalle di nuovo, sembra sia il suo modo di risponderci e comincia a darmi fastidio.
«È probabile che qualcuno sia riuscito ad avere un blocco di carta vergine. Basta una normale stampante per metterci sopra il nome dello spettacolo che vuoi. Ci sbatti un codice a barre, un numero che non  esiste e nessuno se ne accorge finché non passiamo con uno di questi.» Ci mostra lo scanner.
Le nostre facce sbiancano definitivamente quando realizziamo che a questo concerto non parteciperemo mai. Luke afferra i biglietti e marcia via infuriato, seguito da Martin e Taylor altrettanto incazzati. Saluto con una mano il ragazzo e li seguo. Attraversiamo la strada e ci sediamo sui gradini che portano all’ufficio postale. 
«Lo ammazzo, giuro che questa volta lo ammazzo.» Martin è furibondo e nessuno di noi riesce a dire una parola.
Abbiamo perso soldi e concerto, ma quello che mi fa stare più male è che Martin si sente in colpa. Lo vedo dalla sua faccia che vorrebbe picchiare il fratello perché è chiaro a tutti che quei soldi non li rivedremo mai. Non è che andiamo alla polizia a denunciarlo per truffa.
«Magari lui non lo sapeva.» Cerco di vedere la cosa da una prospettiva un po’ diversa.
«Allora perché non risponde ai miei messaggi dove domando spiegazioni?» Il suo tono è secco.
«Non so, si starà facendo gli affari suoi e non ha il telefono sotto mano.» Azzardo.
«Visualizzato e non risposto.»
A questo punto non so più cosa dire, Liam è sempre stato un po’ stronzo ma non pensavo potesse arrivare a fregarci i soldi in questo modo. Fissiamo le entrate all’arena che abbiamo davanti, sono ormai vuote, un ritmo ovattato della musica che proviene da dentro ci fa arrabbiare ancora di più per un concerto che non vedremo mai. Siamo così vicini, abbiamo fatto così tanti sacrifici e invece siamo qui fuori schiumare di rabbia.
Il concerto finisce, anche gli ultimi fan lasciano il concerto e noi siamo ancora seduti su quelle maledette scale a fissare arrabbiati lo stabile, come se questo potesse cambiare le cose.
«Ragazzi, io vado a casa. Altrimenti mia madre chiama la polizia se non mi vede tornare a un orario decente.» Mi alzo in piedi e mi pulisco i pantaloni.
«Vuoi che ti accompagniamo?» Mi propone Luke.
«No, non serve, non è così tardi, poi ci sarà ancora gente in giro dal concerto.» Gli sorrido e li saluto mentre attraverso e prendo la via che costeggia il Madison Square Garden.
Non c’è molta gente in giro, al contrario di quello che pensavo e quando sfilo accanto alle transenne che bloccano l’entrata al backstage, una macchina nera con i vetri oscurati mi passa davanti e mi costringe a fermarmi. La seguo con lo sguardo e quando si ferma di fronte alle porte di metallo, queste si spalancano e Simon, Thomas, Michael escono e salgono immediatamente. I Jailbirds quasi al completo sono a un paio di metri da me. Pensavo fossero usciti prima di aver fatto sfollare la gente, invece hanno aspettato che la situazione si calmasse. La mia bocca è spalancata, gli occhi sgranati e devo sembrare una perfetta imbecille, ma i miei piedi non si muovono di qui. Non passa neanche un minuto che anche Damian esce. È buio, non lo vedo benissimo, ma è bellissimo con quella sua giacca in pelle e i capelli lunghi e leggermente bagnati.
Si ferma un istante a guardare il cellulare che ha in mano, poi alza lo sguardo e mi nota, sono l’unica qui davanti. Mi fa l’occhiolino, sfodera un ghigno sexy, poi sale di corsa in macchina che fila via subito. È stato talmente rapido che è sembrato quasi un sogno. Mi sono costati duecento dollari ma sono stati i due secondi più belli e intensi della mia vita. Me ne torno a casa con un sorriso stampato sulle labbra.
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1 Commento
Ava B link
24/2/2021 03:12:37

Great post, much appreciate the time you took to write this

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