ROADIES SERIES
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Backstage - Capitolo 4 extra

11/7/2020

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Ciao!
Sei arrivata all'ultimo capitolo extra prima dell'uscita ufficiale del libro, spero che ti stiano piacendo!
Se non hai ancora letto i primi tre, li trovi a questo indirizzo: https://www.roadiesseries.com/nlev
Se vuoi, puoi lasciare un commento qui sotto, solo le persone che sono iscritte alla mailing list potranno leggerlo!
Non ti trattengo oltre e ti auguro una buona lettura!

Capitolo 4 Extra

Un anno prima
 
La Coca Cola ormai annacquata mi scende lungo la gola mentre osservo Martin strafogarsi di patate dolci fritte. Come diavolo fa a mangiare così tanto e non ingrassare neanche di un grammo? Io ho messo su due chili solo a guardare lui stasera.
Sposto lo sguardo su Luke che sta contrattando con il gestore del locale per farci pagare la serata. Lo vedo scuotere la testa e non mi sembra particolarmente contento. Brutto segno. Abbiamo finito di suonare due ore fa, dovremmo essere già usciti da un pezzo da questo posto ma il ragazzo che è dietro al bancone stasera non ne vuole sapere. Ha temporeggiato fino ad ora per pagare quello che ci spetta per il concerto e ho il sospetto che Luke non sia riuscito a strappare un buon prezzo. La sua faccia, mentre torna da noi, è abbattuta.
«Quindi possiamo andare a casa? Sei riuscito a farti dare i soldi?» Domando speranzosa mentre anche Martin smette di strafogarsi e Taylor lo guarda con occhi imploranti. Il nostro batterista ha bisogno di nuove bacchette ed è alla disperata ricerca di soldi. Sono ormai tre concerti che usa una bacchetta avvolta nel nastro isolante perché si è spezzata per la troppa usura durante le prove.
«Prima dobbiamo pagare venti dollari.»
Rimaniamo in attesa che ci dica che è uno scherzo ma non c’è nessun accenno da parte sua a continuare. Perché dovremmo essere noi a pagare? È lui che ci dovrebbe dare dei soldi.
«Come scusa?» 
Sono la prima a rompere il silenzio che è venuto a calare al nostro tavolo.
«Ci vuole dare cento dollari per la serata ma ne abbiamo centoventi di cena e bibite che abbiamo consumato.» Spiega il nostro amico con lo sguardo basso e rammaricato, come se fosse colpa sua.
«Ma ci ha detto che erano gratis!» Mi arrabbio.
«Lo so, ma quando l’ho fatto notare mi ha chiesto se abbiamo firmato un contratto.»
Lo sapevamo che non dovevamo fidarci. L’avevamo capito quando ci ha spostato tre volte la data poche ore prima del concerto, ma avevamo bisogno di soldi e questo era l’unico bar che ci voleva in questo periodo. Sono tutti prenotati per mesi ed è difficile trovare uno spazio per suonare a Brooklyn. Avremmo bisogno di un manager ma non abbiamo abbastanza seguito da attirare l’attenzione di qualcuno: siamo tanto lavoro e pochi guadagni, non facciamo gola nemmeno a quelli alle prime armi.
«Io non ho soldi in tasca.» La constatazione di Martin, ancora a bocca piena, riassume la situazione in cui siamo tutti. Riusciamo a malapena a sopravvivere vivendo a casa dei nostri genitori, i concerti ci servono per pagarci le spese, non possiamo permetterci di andare fuori a mangiare, neanche se sono solo cinque dollari. La rabbia che mi invade lo stomaco mi fa quasi venire da vomitare. Sarà anche stata una serata morta, non ci sarà stata una gran affluenza di clienti, ma quando prometti una cosa, mantieni la parola e basta.
«Tutti gli strumenti sono già in furgone, giusto?» Mi accerto.
I miei compagni di band mi osservano preoccupati mentre annuiscono.
«Martin, mi dispiace per le tue patatine ma devo sacrificarle.» Non fa nemmeno in tempo a rispondere che faccio volare in alto la ciotola con quel che resta dello stuzzichino del mio amico e mi metto a gridare a pieni polmoni.
«Che schifo! Uno scarafaggio.» Mi fingo impaurita mentre guardo il pavimento dove sono sparse le patatine.
Il silenzio cala nel locale, solo la musica bassa di sottofondo accompagna la mia sceneggiata. I ragazzi seduti al tavolo accanto guardano schifati nella nostra direzione.
«È lì! È lì!» Punto il dito sul pavimento verso di loro mentre si scansano schifati guardando a terra.
A questo punto anche i miei amici si alzano in piedi e mi reggono il gioco. La gente inizia a guardarsi attorno un po’ spaesata, un po’ schifata, qualcuno posa la birra sul bancone ed esce dal locale. Il gestore arriva da noi in meno di cinque secondi.
«Cosa diavolo state facendo?»
«C’era uno scarafaggio nelle patatine» tiro fuori la mia migliore voce intimorita.
Il ragazzo mi guarda incattivito, ha capito che sto mentendo ma non gli conviene darci contro e causare una scenata, sbraitando che lo stiamo facendo per i soldi, perché è lui che ci ha pagati una miseria, al contrario di quanto aveva detto all’inizio. Non sono solita fare queste cose, ma quando le persone fanno di tutto per metterci i piedi in testa ed approfittarsi di noi, la rabbia mi sale allo stomaco. Sono ingiustizie belle e buone e sono stanca di subirle senza farmi valere.
«Andate fuori di qui subito» sibila puntando la porta.
Non ce lo facciamo ripetere, prendiamo le nostre giacche e usciamo di corsa dal locale. Ci infiliamo nel vicolo dove abbiamo parcheggiato il furgone con gli attrezzi, saliamo e quando Luke mette in moto e si allontana tiriamo un sospiro di sollievo.
«Certo che quando strilli sembri una pazza.» Ride Martin seguito da tutti gli altri.
«Possiamo usare questa tecnica per non pagare!» Suggerisce Taylor senza troppa convinzione.
Mi giro verso di lui e lo fulmino.
«Non pensarci nemmeno. L’ho fatto perché non ci ha dato quello che ci spettava, ma non lo faccio per approfittarmi della gente.»
«Lo so, scusa se ho azzardato un commento del genere» alza gli occhi al cielo.
Per quanto siamo alla disperata ricerca di ingaggi e di soldi, non sono una che non paga ciò che deve. Quella cena ci era stata promessa come parte del pagamento che non abbiamo ricevuto.
Quando arriviamo nelle vicinanze del fiume Hudson Luke ferma il furgone e scendiamo andandoci a sedere su un muretto di cinta che ci permette di vedere Manhattan dall’altra parte del fiume. È tardi, non c’è nessuno in giro e il quartiere dall’altra parte sembra quasi pulsare di vita, visto da qui.
«Secondo voi i Jailbirds hanno mai avuto questo tipo di problemi?» La domanda di Luke è più un pensiero ad alta voce che un quesito in cerca di risposta.
«Non so, non credo. Pare quasi che da un giorno all’altro si siano materializzati belli, ricchi e famosi.» Afferma Taylor mentre osserviamo le luci dall’altra parte.
Sogniamo spesso di attraversare il fiume e andare a vivere una vita scintillante in quella che è Manhattan e i Jailbirds sono proprio questo: coloro che quella vita se la possono permettere. C’è solo un fiume di mezzo eppure è come se vivessimo su due galassie distanti anni luce.
«Voi vi ricordate la vita prima che esistessero i Jailbirds?» Domanda Martin.
Ci riflettiamo un po’ in silenzio, mi giro poi verso di loro e li trovo con gli stessi sguardi spaesati e pensierosi.
«A dire il vero no. Non ricordo un momento in cui si iniziava a parlare dei Jailbirds, dei loro esordi… insomma, è come se una mattina ci fossimo svegliati e sbam, eccoli sulle prime pagine dei giornali e in testa alle classifiche.»
Ci soffermiamo per un attimo sulle parole di Luke e ci rendiamo conto che è vero.
«Porca vacca. Hai ragione.»
Rimaniamo lì, a osservare le luci per un tempo che sembra infinito, in silenzio, continuando a pensare come fosse la nostra vita prima che i Jailbirds ci facessero sognare di diventare famosi, prima che aspirassimo a diventare come loro. Da anni ci ripetiamo la stessa domanda senza riuscire a darci una risposta: ce la faremo mai?
 

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